Un’antichissima leggenda ebraica narra che l’essere umano,
dal momento del concepimento nel grembo materno sino alla sua venuta alla luce,
sia dotato di onniscienza: dispone, cioè, di tutta la sapienza del mondo in
quanto l’alito di vita, ricevuto in dono, discende direttamente dall’alto dei
cieli. Al momento della nascita − e, dunque, dell’ingresso nel mondo − questa
straordinaria capacità viene meno, lasciando l’Uomo nella necessità di
apprendere e di acquisire conoscenze tramite un faticoso quanto essenziale
percorso a ritroso in grado di richiamare alla memoria un frammento di quella
portentosa sapienza originaria.
È evidente in questa credenza rabbinica la stretta
correlazione tra conoscenza e memoria, binomio inscindibile anche per la
tradizione occidentale: non a caso, Socrate fu considerato l’inventore
dell’arte maieutica attraverso cui riusciva a condurre il dialogante a prendere
coscienza di determinate verità che, in realtà, albergavano già nel proprio
mondo interiore.
Il fortunato connubio memoria e conoscenza domina, come tema
centrale, la nuova fatica letteraria di Eduardo Apa: un lavoro multiforme che
parla di antico, sa di nuovo e contiene addirittura tratti avveniristici.
Dopo una lunga e riuscita esperienza nel campo della
narrazione, della ricerca storica e artistica, l’autore ha deciso di cimentarsi
con una nuova sfida intellettuale, dando vita al volume intitolato Mille
proverbi a Terranova da Sibari, una certosina raccolta di massime – tanto della
tradizione locale, quanto di quella nazionale – in uso nella sua ridente
cittadina.
La genesi dell’opera, a discapito del brillante risultato
raggiunto, è quasi casuale: Apa, nella Premessa, confessa candidamente di aver
iniziato a raccogliere proverbi con lo spirito rilassato di chi compila le
caselle di un cruciverba. Tuttavia, il susseguirsi dei motti, come era prevedibile,
ha alimentato l’interesse di un intellettuale dinamico, che non poteva rimanere
indifferente dinanzi ad una materia così stimolante per chi, da sempre, ha
cercato di far emergere, attraverso i propri scritti, l’essenza schietta dei
costumi dell’amato territorio natìo.
Ecco, pertanto, che massima dopo massima, riemerge il ricordo
dell’infanzia, di episodi, strade, volti, voci e azioni che non esistono più,
in quanto logorati dal tempo, ma le cui tracce continuano a vivere e fermentare
nella memoria e negli insegnamenti.
Lo scrittore Eduardo Apa nel suo studio |
Mille proverbi a Terranova da Sibari diventa per il lettore
una miniera di inesauribile conoscenza del mondo che ci ha preceduto e del
bagaglio di esperienze donateci in eredità. Il genere stesso del proverbio, per
definizione, si presta agevolmente a tale scopo, cristallizzando il tempo e custodendo
l’essenziale.
Alle spalle del lavoro di Apa, vive un’ampia tradizione
letteraria costituita da sillogi di proverbi capaci di attraversare con
coraggio molte epoche e altrettante latitudini. Nel primo millennio a.C., il
faraone Amenemope raccolse detti di saggezza dei suoi contemporanei (ne
ricordiamo, per la cronaca, uno estremamente celebre che recita: «Meglio il
pane con un cuore felice, che la ricchezza con l’afflizione»); secoli dopo, la
Bibbia stessa annoverò tra i suoi testi costituenti il libro dei Proverbi,
attribuito a Salomone, il re sapiente per eccellenza, a cui la Sacra Scrittura
assegna la paternità di ben tremila proverbi (cfr. 1Re 5, 12).
In epoche a noi più vicine, anche Erasmo da Rotterdam
(1466/69-1536) subì il fascino dei proverbi e compilò un’opera intitolata Adagia,
condensando tra le sue pagine le massime di saggezza del mondo greco e latino.
La produzione letteraria successiva non fu esente
dall’utilizzo di motti di sapienza popolare che, molto spesso, facevano
capolino tra le righe di scritti di ben altro tenore: ricordiamo, a tal
proposito, almeno le inserzioni proverbiali presenti nella Calandria di Bernardo
Dovizi da Bibbiena (1470-1520), nel Cortegiano di Baldassar Castiglione
(1478-1529) e nelle gustose opere di Pietro Aretino (1492-1556).
Da questo excursus emerge con chiarezza l’antichità del
filone letterario a cui appartiene il libro di Apa ma, nello stesso tempo, non
possiamo esimerci dal riconoscere al nostro autore una certa originalità che si
concretizza nel coraggio di presentare il vigore di insegnamenti popolari – da
lui vissuti in prima persona – ad una società sempre meno attenta, incapace di
assaporare il valore del tempo e priva di adeguati spazi di meditazione.
Un momento della presentazione del libro di Apa a Terranova da Sibari (7-11-2018) |
Mille proverbi a Terranova da Sibari abbraccia la vita del
tempo che fu in tutte le sue sfaccettature: attraverso i proverbi, rivivono i
rapporti umani – nello specifico, quelli non sempre facili tra parenti e quelli
spinosi ma interessanti tra uomini e donne −, riprendono corpo lucide
considerazioni sulla fortuna, l’amore, la giustizia, la risolutezza, la
prepotenza e il legame tra Dio e gli uomini. Ogni sezione del libro ci presenta
uno spaccato di vita che ha come denominatore comune il fondamento agreste di
una società in cui il fluire dei giorni è scandito dall’amore viscerale per la
terra e dalle faticose azioni utili a farla fruttificare (nella fattispecie: la
vendemmia, la potatura, la semina e la mietitura).
Ne affiora un quadro in cui lunghe serate, trascorse alla
tremolante luce delle candele o dei lumi ad olio, si alternano a paesaggi
idilliaci in cui una Natura provvida e armoniosa fa da sfondo a segni inconfondibili
che la sapienza popolare, attraverso i proverbi, interpretava per pronosticare
le condizioni atmosferiche a breve termine.
Gli eventi climatici, previsti per mezzo di particolari
segni, rappresentano, nella società descritta da Apa, la salvezza o la
distruzione di un raccolto, determinando, di conseguenza, il benestare o la
malasorte di una famiglia.
Se queste pagine ricordano con vivacità la durezza e la
precarietà della vita contadina, l’attento lettore non può che scorgervi in
filigrana quella atavica sapienza che già era stata racchiusa ne Le opere e i
giorni di Esiodo di Ascra (VIII secolo a.C.), nei Fenomeni di Aràto di Soli
(310 a.C.) e nelle delicate pagine delle Georgiche virgiliane.
Nella società di Apa, come in quella dei classici appena citati,
campeggia un legame simpatetico con la terra e quanto in essa contenuto, un
rapporto filiale tra l’Uomo e l’elemento naturale che conduce inevitabilmente,
quasi per una sorta di arcana proprietà transitiva, ad una fraternità tra
ogni singolo uomo e i propri simili.
I proverbi raccolti hanno una funzione fortemente
rasserenante e la loro ambivalenza − o, molto spesso, la difficoltà
interpretativa − li rende adatti ad ogni circostanza, per quanto avversa possa
essere. Il rumore di fondo è comunque un costante invito alla moderazione, a
quell’aurea mediocritas di oraziana memoria di cui tanto necessiterebbe la
nostra epoca convulsa.
Alla valenza storica e didascalica, il libro di Apa affianca
anche un forte insegnamento linguistico. I proverbi sono riportati fedelmente
in dialetto terranovese – con relativa traduzione e spiegazione – al fine di
far assaporare meglio l’atmosfera in cui queste perle di saggezza venivano
pronunciate. Tuttavia, l’uso del dialetto è indubbiamente un efficace strumento
per valorizzare l’antica parlata dei nostri avi, oggi sempre meno conosciuta in
quanto sopraffatta da un massificante italiano standard regolamentato dalla televisione
e dagli altri moderni mezzi di comunicazione di massa.
La lettura dell’opera di Apa risulta avvincente, istruttiva
e coraggiosa ma – è bene precisare – che da questo piccolo mondo antico, fatto
di terra e semplicità, non possiamo che limitarci a trarre insegnamenti e
valori. Una esegesi errata potrebbe indurre a pensare alla necessità di un
ritorno a quel genere di società contadina marchiata dalla frugalità, ma è
evidente l’impossibilità di una tale prospettiva dacché occorre ammettere,
senza ipocriti infingimenti, che, benché afflitto da enormi problemi, l’Uomo
contemporaneo non può prescindere dalle imponenti innovazioni in campo
tecnologico, dalle evoluzioni della medicina e dagli elementi caratterizzanti
la moderna globalizzazione.
Del resto, lo stesso Apa, per evitare antistorici desideri
di ritorno al passato, dichiara di avere come obbiettivo del suo libro
semplicemente il «prospettare le conoscenze e le esperienze fatte nell’arco di
una lunga vita».
Ne affiora un messaggio di straordinario equilibrio, un
invito a contemperare − senza stravolgimenti − il tempo presente con i valori
di solidarietà, condivisione, semplicità e laboriosità, che furono il cardine
della generazione precedente.
È proprio a partire da questa armonizzazione tra antico e
moderno che Mille proverbi a Terranova da Sibari presenta, come dicevamo
all’inizio, addirittura dei tratti avveniristici.
Negli anni Novanta del secolo scorso, Chris Langton –
eminente fisico dell’Istituto di Santa Fe, nel New Mexico – elaborò una teoria,
applicabile ai sistemi complessi, nota con il termine di “margine del caos”.
Langton notò che sistemi molto grandi – quali una popolazione, una grossa
società finanziaria, un numeroso branco di animali, l’insieme dei neuroni
cerebrali ecc. – prosperano soltanto in un punto-limite definito “margine del
caos” in cui convivono indistintamente vecchio e nuovo, stasi e movimento,
conservazione e innovazione. Insomma, avvicinarsi troppo al margine
significherebbe cadere nell’anarchia, ritrarsene eccessivamente implicherebbe
il più rigido totalitarismo: ne consegue che «l’eccessivo mutamento diventa
letale quanto l’eccessivo immobilismo».
La ricetta vincente è, pertanto, quella della saggia
moderazione che, applicata al nostro caso, ci induce a riflettere sul fatto che,
sebbene tecnologizzati e veloci, abbiamo disperato bisogno degli ideali di
semplicità, racchiusi da Apa nei suoi proverbi, per poter ritornare a
prosperare.
Spixana (Spezzano Albanese), 6/XI/2018
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