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domenica 29 agosto 2021

COSMO DAMIANO ORIOLO, CANTASTORIE DEL TEMPO CHE FU

 di

Mario Gaudio

L’indiscutibile merito di Vincenzo Corso è quello di aver raccolto in una gradevole antologia i versi di Cosmo Damiano Oriolo (1881-1965), cantastorie di Spezzano Albanese e rappresentante di una cultura orale ormai del tutto ignorata a beneficio di una scrittura che, nella sua forma digitale, diventa sempre più arida e impersonale, segno dei tempi e delle fugacità che ci fagocitano quotidianamente.

Oriolo non rientra nel novero dei poeti ‒ scarse o nulle sono le cognizioni di metrica, nonostante la musicalità delle sue parole ‒, ma incarna l’emblema dell’uomo del popolo capace di dar voce ad emozioni, vicende ‒ tristi e liete ‒ e impressioni con una spontaneità che assurge quasi a preghiera e che condona quelle inevitabili imperfezioni che accompagnano la produzione di un autodidatta.

Del resto, l’autore, conscio di questo ruolo, non mise mai mano alla penna per imprimere su carta i suoi pensieri, ma li affidò all’attenzione di coloro che lo ascoltavano recitare e, in particolare, di Leonardo Gerbasi che, per buona sorte, li trascrisse su un vecchio taccuino. 

Këndime si presenta pertanto come l’eredità di un uomo sensibile e saggio, indubbio punto di riferimento per quella particolare struttura sociale chiamata gjitonia (“vicinato”) che, nella storia spezzanese, fu luogo di solidarietà e conflitto, ma anche e soprattutto di compartecipazione e corresponsabilità educativa nei confronti dei più giovani.

Oriolo incarna i sentimenti popolari di una Spezzano che non è più e che non potrà tornare ad essere a causa delle mutate condizioni di vita, di un drastico cambiamento nel sistema di riferimento valoriale e del preoccupante disinteresse ‒ soprattutto da parte delle nuove leve ‒ nei confronti del passato in generale e delle proprie radici in particolare.

Per quanto detto sopra, Këndime è senza alcun dubbio uno strumento per poter iniziare a destreggiarsi nella conoscenza della società dei nostri nonni attraverso l’occhio attento di una acuta personalità che ha vissuto gioie e dolori a cavallo tra Ottocento e Novecento.

L’opera di Oriolo presenta diverse sezioni, tra cui due particolarmente interessanti: i canti religiosi (Këndime të Shënjta) e quelli di guerra (Këndime guerrje).

Nella prima parte, l’autore infonde tutta la sua devozione, semplice ma solida, mettendo in versi la nascita del Cristo (Të lierit e Zotit Krisht) e la sua Passione salvifica (Pasjona e Zotit Krisht) con accenti di commossa partecipazione e un curioso richiamo ad un episodio raccontato nei Vangeli apocrifi ‒ ma estremamente diffuso nella tradizione orale popolare ‒ secondo cui la Vergine avrebbe ricevuto da un angelo l’ordine di nascondere il Bambino tra le pieghe del suo seno affinché, dinanzi al controllo dei soldati accampati sulla via, la veste risultasse colma soltanto di fiori profumati («Shën Bominin te prëhri ule / Kush të pien thuaji se ke lule»).

Altro faro della sezione delle poesie religiose è indubbiamente la figura della Madonna delle Grazie, patrona della cittadina arbëreshe, a cui Oriolo, in un componimento del 1940, rivolge un’accorata supplica in favore dei giovani richiamati al fronte: «Këta trima mos i doni të bjerr / Bit fërrnohet, via, kjo guerr».

Degna di nota è anche la poesia Grurë e bathë gjith thrresën in cui emerge una invocazione alla divinità al fine di ottenere la pioggia utile per i raccolti che costituivano l’unica fonte di sostentamento per una comunità essenzialmente rurale come quella spezzanese della prima metà del Novecento.

Il mito ci insegna che il dolore diviene potente linfa per la poesia: non a caso, Orfeo compone i suoi canti più belli dopo la morte dell’amata Euridice.

Rispettando inconsciamente questa antichissima tradizione, Oriolo raggruma la lacerante pena per la perdita del figlio nei versi raccolti nella sezione dedicata alla guerra.

Il giovane Carlo Maria Oriolo fu fucilato dai tedeschi presso la collina di S. Thanas di Koritza, in Albania, il 18 settembre 1943, e suo padre Cosmo Damiano, benché reduce della Prima Guerra Mondiale e compartecipe della gloriosa vittoria italiana sui fronti del Carso, non riesce ad accettare la morte dell’amato discendente che lo costringe a cristallizzare le macerie dell’animo nei delicati versi 29-32 di Bir kur re mbë truall: «Trim, i le si një fjutur / Qindrove ndë Shqipni? / Trim, at gjell të bukur / Të grisën dheu i zi!».

L’autore non si limita tuttavia a sfogare la propria afflizione, ma punta il dito contro i responsabili di quella immane strage che falciò intere generazioni di italiani in nome di un ideale totalitario. Pertanto, Oriolo condanna decisamente lo scellerato operato di Mussolini e mette alla berlina il re Vittorio Emanuele III che definisce in modo dispregiativo “Rrirriu” (il termine è utilizzato per indicare una persona che indossa vestiti più corti rispetto alla sua statura, con evidente effetto ridicolo). 

Non manca neppure un’amara considerazione sulle discriminazioni presenti nell’esercito tra ufficiali e militari di truppa, con i primi che godevano di privilegi e cibi ricercati e i secondi costretti nel fango delle trincee a consumare malsane brodaglie e avanzi: «Tult e han gjith ufiçjelt / E suldati rruzgarën delt».

Lo spirito travagliato di Oriolo si lascia comunque accarezzare da un sentimento luminoso che trova espressione nei versi dedicati ad una affascinante fanciulla dai capelli ricci (Kopile me lesht ric) la cui graziosa presenza ammalia l’intero vicinato.

Tuttavia, accanto a questa amabile figura femminile, compaiono anche le eroiche raccoglitrici di olive di Ku u nistit një murr gra?, donne di tempra fortissima, abituate al sacrificio e al durissimo lavoro nei campi per portare a casa «Buka e zez e një poçe val».

Da quanto analizzato finora, emerge la semplicità dell’universo di Cosmo Damiano Oriolo, i cui versi offrono a noi, indaffarati e distratti uomini del XXI secolo, la possibilità di immergerci per un momento in un mondo che non è più, ma può ancora fornire utilissimi insegnamenti.

Ma, a ben vedere, non è poi questo lo scopo della letteratura? Al lettore l’ardua sentenza…

Spezzano Albanese (Spixana), 29/VIII/ 2021