Leggendo le fascinose pagine del libro di Nuccio Provenzano,
si palesano alla mente le parole ‒ quasi profetiche ‒ di un eroe contemporaneo
barbaramente assassinato dalla criminalità organizzata. Mi riferisco a Peppino
Impastato (1948-1978) che, nella sua breve ma intensa vita, indicò nella
bellezza un potente antidoto per combattere inciviltà e malaffare.
Il giovane attivista siciliano, negativamente colpito dalla
cementificazione senza criterio consumatasi attorno alla sua cittadina,
esprimeva dissenso e concentrava speranza in questi termini: «Se si insegnasse
la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la
paura e l’omertà».
La bellezza diviene pertanto efficace strumento di una vera
e propria terapia sociale, il cui scopo è quello di mantener viva la fiamma
della curiosità e dello stupore in una società capitalista ‒ iperconnessa e
distratta allo stesso tempo ‒ che tende a massificare interessi, gusti, mode,
linguaggi e pensieri.
Riscoprire la bellezza è atto rivoluzionario e, come tale,
capace di generare fermenti utili alla costruzione di un consorzio umano equo
e, al contempo, armonioso nella diversità.
Il volume di Nuccio Provenzano si inserisce a pieno titolo
in questa logica e offre all’attenzione del lettore sprazzi di bellezza
catturati, nonostante l’ineluttabile fluire del tempo, tra alcuni silenti
borghi calabresi.
Tutto ciò sortisce un effetto di profonda elevazione spirituale che consente all’autore di trasformare i sei itinerari storico-artistici da lui presentati in veri e proprio percorsi su cui temprare i valori dell’umanità e della conoscenza.
Partendo dalla sua Altomonte, cittadina antica e dal nobile
passato, Provenzano ricostruisce, con attenzione e dettagliata documentazione
storica, le peculiarità di paesi disseminati tra la valle dell’Esaro e il
massiccio del Pollino, consentendoci di riscoprire ‒ attraverso un approccio felicemente
multidisciplinare ‒ isole di bellezza troppo spesso ingiustamente dimenticate.
Ne emerge un quadro complesso di microstorie che a gran voce
invocano la necessità di esser conosciute e adeguatamente valorizzate.
Il lettore è condotto innanzitutto tra le antiche vestigia
riesumate e raccontate dall’archeologia. Riaffiorano dalle nebbie del tempo e
dal grembo protettivo della terra preziose testimonianze quali i pavimenti a
mosaico di una villa di epoca ellenistico-romana rinvenuti nel sito di Santa Margherita
a Firmo, i reperti riemersi nell’area di torre Mordillo a Spezzano Albanese e
la splendida e misteriosa croce reliquiario custodita in una tomba monumentale a
Pauciuri, importante zona archeologica del comune di Malvito. Quest’ultimo
oggetto, stando a recenti studi di Giovanni Cristofalo, potrebbe essere
addirittura collegato alla figura dell’abate Ursus che, secondo la tradizione,
fu, assieme ad altri otto confratelli calabresi, uno degli artefici della prima
crociata in Terra Santa.
Non mancano dettagliati riferimenti anche ad ulteriori
luoghi di scavo quali la protostorica Grotta della Monaca a Sant’Agata d’Esaro,
il sito di Sassòne localizzato tra Morano Calabro e San Basile e le pendici del
monte Mula ‒ nei pressi di San Sosti ‒ dove, nel 1846, fu recuperata una
vetusta ascia in bronzo con dedica alla dea Hera, oggi custodita presso il
British Museum di Londra.
Tra le pagine del volume, grazie ad una sapiente descrizione
corroborata da un ottimo apparato fotografico, risaltano in particolare: la
chiesa di Santa Maria della Consolazione di Altomonte, rilevante testimonianza
del gotico angioino; la sfarzosa cattedrale di San Nicola di Mira, a Lungro,
ponte tra Occidente ed Oriente, luminoso esempio di tradizione liturgica e
spirituale preservata attraverso varie epoche e generazioni; la chiesa di San
Giovanni Battista, ad Acquaformosa, nota per i suoi pregevoli mosaici; i
numerosi edifici sacri disseminati sul territorio di Morano Calabro, famosi per
la gran quantità di tele, affreschi, sculture e oggetti sacri di antica
datazione e ricercata fattura.
Accanto ai simboli del potere spirituale, i borghi descritti
da Nuccio Provenzano conservano tuttora i segni del potere temporale. Lo
sguardo si sofferma estasiato su una pletora di castelli, torri diroccate,
ruderi di fortificazioni e antichi palazzi di famiglie ricche e potenti che
governarono sui feudi calabresi.
Di particolare interesse per la loro invariata bellezza risultano
essere le torri normanne di Altomonte e San Marco Argentano (entrambe risalenti
all’XI secolo), i castelli feudali di San Donato di Ninea e Terranova da
Sibari, il castello aragonese di Castrovillari, il maniero di San Lorenzo del
Vallo ‒ fatto erigere nel 1623 dal marchese di Rende Andrea Alarcón Mendoza ‒,
le torri Mordillo e Scribla ricadenti nel territorio di Spezzano Albanese.
Una particolare attenzione è riservata dall’autore ad alcuni
paesi dell’Arbëria, modello di perfetta integrazione tra genti e culture
differenti e tangibile manifestazione di attaccamento a tradizioni avite.
Uomini e donne provenienti dai Balcani, giunti attraverso
molteplici ondate migratorie a partire dalla fine del XV secolo, hanno
ripopolato casali abbandonati e territori impervi, riqualificandoli e rendendoli
luoghi di gelosa custodia di antichi riti religiosi e altrettanto venerabili
parlate.
Ben amalgamati nei secoli alle popolazioni locali, i discendenti
di quei primi migranti hanno dato prova di profonda devozione nei confronti
delle terre ospitanti, partecipando eroicamente ai movimenti di liberazione e
unificazione nazionale e distinguendosi nei più svariati campi del sapere.
Ancora oggi, nonostante un tragico calo demografico e
l’indifferenza generalizzata verso il passato, sopravvivono, pur tra mille
difficoltà, gradevoli borghi nelle cui chiese risuonano le incantevoli melodie
di lode del rito greco-bizantino e nei cui vicoli si odono ‒ purtroppo sempre
meno ‒ le affascinanti parole della lingua arcaica.
Provenzano narra le storie di Acquaformosa, Civita, Firmo,
Frascineto, Lungro, San Basile e Spezzano Albanese, comunità che hanno
ereditato la bellezza di un glorioso passato e il fardello della responsabilità
di tramandarlo alle nuove generazioni che, a conti fatti, si mostrano sempre
meno interessate a causa di un deleterio processo di omologazione culturale,
ideologica e spirituale.
I borghi racchiudono spesso memorie di sofferenza e
generosità e, a tal proposito, è necessario citare almeno due esempi
fondamentali: le saline di Lungro e il campo di internamento di Ferramonti di
Tarsia. Nelle miniere di salgemma della cittadina arbëreshe, le durissime
condizioni di lavoro hanno cementato le classi più umili, favorendo forme di
mutua assistenza e solidarietà; nel campo di Ferramonti ‒ monito perenne per i
tempi venturi ‒ le brutture della prigionia sono state alleviate dalle cure e
dall’umanità della popolazione locale.
Insomma, gli scenari variegati dei nostri borghi fanno
emergere una enorme ricchezza potenziale che tutti noi, con medesima
responsabilità, siamo chiamati a trasformare in concrete possibilità di
crescita.
La bellezza delle nostre contrade stride dolorosamente
contro il grigiore dei tanti giovani che si affollano, presso le stazioni
ferroviarie, in un viaggio di ritorno verso i luoghi natii per un fugace
soggiorno natalizio.
I borghi, per quanto fascinosi possano essere, diventano macerie,
senza una adeguata valorizzazione di coloro che li abitano e, in tal senso, la
politica accorta e la cultura disinteressata sono chiamate ad affrontare le
sfide in grado di favorire la restanza.
Sic stantibus rebus, il libro di Nuccio Provenzano ‒
rigoroso nella ricerca e semplice nello stile ‒ si pone come utilissimo
riferimento affinché noi stessi ‒ prima ancora che i numerosi vacanzieri
italiani e stranieri ‒ possiamo riscoprire le bellezze della nostra splendida e
martoriata regione.
Con l’auspicio di una rinnovata attenzione verso le nostre comunità,
concludo le mie brevi considerazioni con una pregnante esortazione del critico
d’arte Vittorio Sgarbi: «Se il viaggio è ritornare sui passi di altri in altri
tempi in altre vite, rievocare, veder riemergere fantasmi, allora mettetevi in
cammino, non siate pigri, perché dalla vostra meraviglia deriva la vita
dell’arte, dei luoghi, del nostro paese; l’Italia delle meraviglie».[1]
Spixana (Spezzano Albanese), 19/I/2023
[1] Vittorio Sgarbi, L’Italia delle
meraviglie, Bompiani, Milano, 2011 (2009), p. 8.
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