di
Mario Gaudio
La medicina è scienza composita e complessa la cui storia ‒
affascinante e a tratti intricata ‒ è popolata di saperi sedimentati nel corso
dei secoli, innovazioni tecniche, sviluppi sperimentali e intuizioni di uomini
forgiati nello studio e nella pratica costante dell’osservazione di segni e
sintomi dell’organismo e della psiche.
Se la recente esperienza pandemica ha ribadito con vigore il
profondo senso di abnegazione e l’altissima missione civile del personale
sanitario, è bene ricordare che la storia annovera figure di notevole profilo
che, pur operando in disagiate realtà di provincia, hanno comunque contribuito
a lasciare una impronta significativa nel contesto della letteratura medica.
Ne è esempio lampante Edoardo Pandolfi (1827-1919), medico,
naturalista e storico di Mormanno le cui vicende umane e professionali sono
ricostruite, con dovizia di particolari, nel nuovo libro di Alessandro Perrone,
scrittore e chirurgo oculista presso l’Ospedale dell’Annunziata di Cosenza.
Pandolfi, appartenente ad una nota famiglia del patriziato locale, conseguì la laurea in medicina a Napoli (1848), formandosi al seguito di illustri clinici che fecero della capitale del Regno delle Due Sicilie un indiscusso centro di riferimento per la ricerca medico-scientifica dell’epoca.
Benché allettato dal fermento culturale partenopeo, Pandolfi
decise di ritornare in terra natìa, ricoprendo per lunghissimi anni il gravoso
incarico di medico condotto e assistendo con passione una popolazione
falcidiata da malattie endemiche, da una fame atavica e da discutibili
condizioni igieniche. Pertanto, accompagnato dalla inseparabile borsa di cuoio,
percorse le vie del borgo e i sentieri di campagna per entrare in case
benestanti e tuguri, assistendo moribondi e partorienti, applicando medicamenti
su ferite ed eseguendo interventi chirurgici su improvvisati tavoli operatori.
Tuttavia, l’indole curiosa e predisposta allo studio, nonché
la fama di impareggiabile diagnosta ‒ dote che gli valse l’appellativo di Cardarelli
calabro-lucano, con evidente riferimento al celebre clinico Antonio Cardarelli
(1831-1927) ‒ spinsero Pandolfi ad intrattenere proficui rapporti di
collaborazione con prestigiose riviste medico-scientifiche quali Il Filiatre
Sebezio di Napoli, La Gazzetta Medica delle Calabrie e La Lucania Medica.
I suoi saggi ‒ in gran parte riportati in ristampa
anastatica nel libro di Perrone ‒ mostrano innata acutezza nella descrizione
dei sintomi e, soprattutto, la versatilità di una mente capace di spaziare
dalle indagini sulle conseguenze dell’avvelenamento da semi di moco alle
riflessioni sugli effetti della puntura dello scorpione.
Nel 1872, Pandolfi divenne socio ordinario della rinomata
Regia Accademia medico-chirurgica di Napoli, presentando dinanzi al
qualificatissimo consesso un approfondito studio sulla còrea.
Tale meritato riconoscimento introdusse il brillante medico calabrese
nel gotha della medicina italiana di fine Ottocento, ma egli preferì continuare
la sua missione nell’umile provincia, mostrando un sempre maggiore attaccamento
al territorio attraverso una serie di studi sulle tradizioni storiche e
folcloriche pubblicate a suo nome.
Convinto sostenitore della diffusione popolare della
cultura, Pandolfi divenne presidente della Società Filomatica Mormannese (fondata
nel 1869 dal poeta Francesco Minervini e ospitante soci onorari del calibro del
Manzoni e Cesare Cantù) e partecipò, in ampio anticipo sulle mode e sui tempi,
alla Società Italiana per l’emancipazione della donna.
Da tutto ciò emerge il ritratto di un uomo coltissimo che,
sebbene lontano dalle grandi città, ha saputo fornire un contributo importante
alla ricerca medica nel periodo cruciale in cui le scoperte in campo chimico,
fisico e biologico e le novità tecnologiche (termometro clinico, stetoscopio,
oftalmoscopio) determinarono una incisiva evoluzione della medicina.
Alessandro Perrone ci offre la biografia di un calabrese
illustre, colmando un vuoto negli studi storici e fornendo spunti per future
ricerche sul ruolo di personaggi ingiustamente poco approfonditi il cui operato
ha trasceso la microstoria locale, inserendosi a pieno titolo nel circuito più
ampio delle vicende nazionali.
L’oggettività della ricerca, la chiarezza dello stile, la
scorrevolezza del linguaggio ‒ tipica di un'opera divulgativa non esente comunque dai
necessari termini tecnici ‒ contribuiscono ad impreziosire il lavoro
dell’autore rendendo, in ultima analisi, il libro in questione gradevole
lettura per gli appassionati di storia e dintorni.
Spezzano Albanese (Spixana), 05/IX/2022
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