di
Ettore Marino
Se ciò che va taciuto viene messo su carta; e se sui medesimi fogli viene enunciata, e con forza, la necessità di tacere ciò che va taciuto, il dispettoso folletto dell’incongruenza si mette a farti le boccacce, e te la cavi come puoi.
Del cardinale Mazzarino, Jules Raymond Mazarin pei francesi, chi s’appresta a leggere codesto articoletto non è tenuto a esser nato già edotto. Ricordi perciò che: nacque egli in Abruzzo, nel 1602, da un nobiluomo siciliano al servizio dei Colonna; che, già scolaro dei Gesuiti, studiò in Ispagna e s’addottorò in utroque iure a Roma; che fu in gioventù uomo d’arme e diplomatico. Richelieu e, per lui, Luigi XIII, prendono a stimarlo. Da semplice diacono, ottiene il cappello cardinalizio. Richelieu muore nel Dicembre del 1642: Jules Mazarin è primo ministro. Nel Maggio seguente si spegne anche il sovrano. La minorità di Luigi XIV innalza alla reggenza la di lui madre Anna d’Asburgo. Il giovane sovrano s’innamorerà un giorno di Maria Mancini, nipote del Mazzarino stesso, e la vorrà sposare. Reputando le nozze svantaggiose alla Francia, il cardinale le ostacolò fino a impedirle. Mazzarino siculoabruzzese… Quando si parla di origini e di etnie, il pacchiano è lì a un passo. Evitiamo di compierlo chiedendoci: quale stentato nobilotto italomeridionale avrebbe resistito alla venere d’imparentarsi al re di Francia? E ceselliamo la digressioncella col dire che sifilide antica e inguarita dell’Italia australe è l’onniavvolgente mistura di sentenziante invadenza, adiposa vanità e assai giulivo vittimismo che la inchioda a una perenne eco di sé. Torniamo in Francia. Devoto ad essa e alla corona, il cardinale perseguì, con agile costanza, due scopi: umiliare gli Asburgo sì che la Francia dei Borbone primeggiasse in Europa; distruggere, all’interno, le fazioni perché il re fosse tale davvero. Fortuna arrise a entrambi. Alle cose d’Italia il cardinale non cessò mai d’interessarsi, come ministro e come uomo. Accumulare terre, oro, benefici ecclesiastici, libri, pezzi d’arte, fu, più che intento, passione: che soddisfece appieno. Morrà nel Marzo del 1661.
Nel 1684
venne dato alle stampe un curioso libretto: Breviarium Politicorum secundum
Rubricas Mazarinicas. Del 1698 la versione italiana, intitolata Epilogo de’
Dogmi Politici secondo i dettami rimastine dal Cardinale Mazzarino. Nel
Novecento s’interesseranno al testo Giovanni Macchia, Pietro Citati, Salvatore
Veca, Umberto Eco, Francesco Perfetti. Il libro s’inserisce in un genere. La
sua stranezza non è pertanto in questo. Conseguire, mantenere, accrescere il
potere: chi vive a tale scopo non va descrivendo i ferri del mestiere nemmeno
in fogli destinati a stamparsi dopo la sua morte; o, se lo fa, mostra il lato
diurno della cosa, e non, come qui, la tenebra che lo sottende. A scrivere fu
perciò chissà chi, e lo fece esemplando i concetti secondo il modello
Mazzarino: il più grandioso, in quell’ora della Storia, fra tanti altri modelli
siffatti.
Non francese, potente, ricchissimo, Mazzarino fu odiato,
specie dai nobili che andava umiliando perché il sole di Luigi splendesse più
certo. I dispacci d’Ambasciata e la letteratura memorialistica lo tratteggiano
freddo, inalterabile, amabile d’una amabilità tenera e flessibile, forte d’una
doppiezza potentemente dominata che gli permette di radicalmente dominare il
prossimo. Il cardinale è il padrone del discorso: sua è la tua verità, lui ti
sfuggirà sempre. La decisione di un sovrano sommuove mille cose; quella d’un
padre di famiglia, di una comare intrigante, di un allenatore di football
sortiscono effetti, è ovvio, ben più minuti. Ma il gioco è lo stesso. Quella
cosa chiamata potere investe la realtà umana tutta: dalla frotta dei bimbi
festanti al consesso dei grandi che deliberano. Se patisce scissioni al suo
interno, il soggetto stesso è attraversato e manomesso dal potere. L’amore, la
fraternità, la contemplazione d’una scena, l’entusiasmo, l’ebbrezza, la lealtà sono
le piccole grandi diastoli nel moto delle cose umane. Il libretto ci insegna
quello che già sappiamo: elastica prudenza e necessità di sporcarsi le mani.
Bene è infatti sporcarsele, se si vuole che non ci venga insozzata l’anima. Di
anima, però, il libretto mai parla. Parla, per contro, di maneggi; e
soprattutto di segreti: i tuoi, da custodire se vuoi continuare a vivere; gli
altrui, da divinare con l’adeguato grimaldello. Un po’ di esempi, che
riportiamo modernizzando solo l’uso di apostrofi e virgole: “Incoraggia quel
tale a narrarti la sua vita, il che sortirà se tu gli narri sotto finta la tua;
e quali inganni egli usò ad altri; e di qui avrai ben agio di arguir qual ei
sia presentemente: sia però tu avvertito a non iscuoprirgli la tua”; “Architetta
nella tua fantasia de’ segreti, e come tali confidali a lui”; “Se ti occorrerà
scrivere in un luogo frequentato da molti, appoggia a un lettorino [= leggio]
qualche foglio già scritto, come se avessi a ricopiarlo. Egli sia patente, e in
prospettiva; ma la carta dove realmente scrivi stia distesa ugualmente sul
tavolino, e talmente cautelata, che non comparisca se non la sola riga della
trascrizione, che possa leggersi da chi vi si accosta. Quello però che hai
scritto, riparalo con qualche libro o altro pezzo di carta, ovvero con altra
carta sostenuta, come la prima, ma più appressata allo scritto”; “Se t’avvedi
che altri vuol ripescare dal tuo cuore qualche sincero arcano, e s’infinga
saperlo, non lo correggere, se falla”. Tutto è riassunto in quanto segue:
“Affaticati di avere un’intera notizia degli altri; non isvelare ad alcuno i
tuoi segreti; procura bensì indagar tu gli altrui”. Il naturale, il semplice
pessimismo che informa ogni cosa è enunciato con le semplici e naturali parole
con le quali chiudiamo le nostre citazioni: “Non presumere di trovar benigni
interpetri de’ tuoi operati, poiché nel mondo ognun la prende nel senso
peggiore.”
È un mondo privo d’aria. Il convito è momento di diastole.
L’autore inchioda sulla pagina la grande macchina d’un banchetto in cui la
parola gareggia con la cosa e ne trionfa: barocchissima scena d’una profusione
di crome corpi e forme, tutta volta a stupire; cioè a incantare gli astanti, a
possederne e dominarne il cuore per stordimento della vista, prima che del palato:
cioè, di nuovo e per sempre, un momento senz’aria.
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