di
Mario Gaudio
25 marzo 1938. Ettore Majorana, giovanissimo, silenzioso,
schivo e geniale fisico teorico, si imbarca dal porto di Napoli su un piroscafo
diretto a Palermo. Da quel preciso istante, si perdono le sue tracce e ha
inizio uno tra i più affascinanti, discussi e controversi misteri italiani.[1]
Non si tratta di un ordinario caso di scomparsa, ma della
sparizione di una delle menti più brillanti del tempo[2]
che aveva mostrato impressionanti capacità di calcolo e di deduzione, lavorando
‒ tra il 1929 e il 1937 ‒ nel famoso staff di scienziati del Regio Istituto di
fisica dell’Università di Roma, guidato da Enrico Fermi e passato alle cronache
con l’appellativo di “Gruppo dei Ragazzi di via Panisperna”.[3]
Se a ciò si aggiunge l’appartenenza di Majorana ad una delle
famiglie di notabili più influenti del catanese ‒ che aveva dato i natali ad un
ministro, a diversi statisti e accademici di valore ‒ si comprende l’ampia
risonanza che il caso ha avuto sin da principio, costringendo lo stesso
Mussolini ad esercitare forti pressioni sugli inquirenti affinché Ettore fosse
ritrovato.[4]
Tuttavia, nonostante la puntigliosa attività investigativa
della polizia fascista, i cui metodi ‒ com’è noto ‒ erano spesso poco ortodossi,
e l’utilizzo di una fitta rete di collaboratori e informatori, le ricerche risultano
vane e portano alla luce soltanto labili indizi dei presunti spostamenti del
giovane fisico.
Nel corso degli anni, sono state formulate numerosissime ipotesi sulla sorte di Majorana, ma nessuno, sino ad ora, è pervenuto alla risoluzione di questo spinoso enigma italiano.
Accanto all'idea del suicidio e a quella
della caduta accidentale dal piroscafo durante la navigazione, c’è chi ha
ipotizzato una volontaria fuga in Germania ‒ dettata da una discutibile
simpatia verso il Terzo Reich ‒ e chi, come lo storico della matematica Umberto
Bartocci, ha addirittura teorizzato una segreta congiura di fisici per
eliminare il temibile e talentuoso collega.[5]
Non sono mancate ricostruzioni che hanno fatto di Majorana un
esule italiano in Sud America: Erasmo Recami ha parlato, ad esempio, di una sua
seconda vita a Buenos Aires, in Argentina,[6] mentre altri hanno
identificato lo scienziato scomparso con un certo signor Bini, residente in
Venezuela.[7]
A tutto ciò si sommano le molteplici testimonianze che, di
volta in volta, hanno identificato Ettore Majorana con umili senzatetto
particolarmente dotati nel calcolo e nella risoluzione di problemi matematici.
Si ricordano, a tal proposito, almeno due segnalazioni: la prima riguardava un clochard
di Mazara del Vallo, Tommaso Lipari, morto nel 1973; la seconda fu la
dichiarazione di un anonimo testimone che affermava di aver riconosciuto
Majorana in un uomo senza fissa dimora incontrato a Roma, nel 1981, in compagnia
di monsignor Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas romana.[8]
Dinanzi a questo ginepraio di ipotesi, il libro di Giovanni
Forte si presenta come un testo prezioso, dal momento che non ha la pretesa di
raccontare a tutti i costi una verità definitiva sul caso Majorana, ma
fornisce, attraverso una scrupolosa quanto corretta indagine archivistica e
documentale, una nuova pista di lavoro. L’autore è un medico e, confortato
dalle sue conoscenze sanitarie e dalla trentennale esperienza nell’ambito della
professione, cerca di leggere quelli che sono piccoli, ma interessanti indizi
sulle condizioni di salute del geniale fisico siciliano.
Sommando con pazienza e analizzando con acume una serie di
sparsi riferimenti, Forte arriva a concludere che Majorana, prima della
scomparsa, fosse affetto da una malattia polmonare, nello specifico la
famigerata tubercolosi, contratta o comunque aggravatasi durante il soggiorno estero
del 1933. In quell’anno, il giovane scienziato trascorse sei mesi di studio in
Germania al fianco di Werner Heisenberg ‒ uno dei fondatori della meccanica
quantistica ‒, e in Danimarca al seguito di Niels Bohr, autore di contributi
essenziali per la comprensione della moderna teoria atomica.
Dalle lettere di questo periodo, in cui sono presenti vaghe
allusioni a disturbi influenzali e digestivi, Giovanni Forte trae materiale per
elaborare la sua diagnosi: i sintomi genericamente descritti, uniti ad una
costituzione fisica alquanto debole ‒ Majorana era stato esonerato dal servizio
militare per «insufficienza toracica» ‒, il vizio del fumo ‒ il giovane
scienziato era noto come accanito fumatore delle famose sigarette “Macedonia”
‒, gli accenni all’assistenza di un’infermiera e un insieme di prescrizioni
comportamentali relative all’astensione dai bagni consentono al nostro autore
di ricostruire un quadro clinico abbastanza preciso.
Questa lettura medica del caso Majorana, pertinente e
inedita ‒ ricordo, per inciso, che solo Emilio Segrè, nel 1965, aveva sommariamente
parlato di una presunta sifilide del suo collega ‒, non è fine a se stessa, ma
diventa una chiave di lettura essenziale per comprendere il prosieguo della
vicenda e le motivazioni della scomparsa.
Forte ricostruisce, alla luce di quanto appena detto, lo scopo del viaggio a Palermo affrontato dal giovane Ettore: nel capoluogo siciliano esercitava il professor Maurizio Ascoli, amico della famiglia Majorana, che, proprio in quegli anni, stava sperimentando una particolare procedura per il trattamento della TBC.
La permanenza a Palermo, confermata dall’invio di una
lettera e un telegramma spediti da Majorana al collega Antonio Carrelli,[9] esclude pertanto le ipotesi
del suicidio e dell’accidentale caduta in mare, aprendo, di fatto, gli
interrogativi su quelli che sono stati i successivi spostamenti del fisico.
Tra fine marzo e aprile, si segnalano diversi avvistamenti nel
capoluogo partenopeo: Majorana è riconosciuto per strada da un’infermiera, dal
gesuita padre De Francesco del convento annesso alla Chiesa del Gesù ‒ presso
cui si sarebbe recato per chiedere l’ammissione all’ordine monastico ‒ e dai
frati di san Pasquale di Portici a cui si sarebbe rivolto, con lo stesso scopo,
il 12 aprile.[10]
Seguirono, tra luglio e agosto 1938, alcune segnalazioni nel
Cilento, in particolare a Perdifumo e a Celle di Bulgheria, una piccola
frazione di Roccagloriosa, dove, stando agli atti della Questura di Salerno,
furono inviati anche dei cani poliziotto.
A questo punto, Giovanni Forte, partendo dal libro di
Stefano Roncoroni[11] ‒ figlio di una
cugina di Ettore ‒, che cita alcune annotazioni del diario di suo nonno
(Oliviero Savini Ricci, marito di Elvira, zia di Majorana), elabora una sua
ipotesi basata sull’analisi di un presunto messaggio criptico celato dietro il
riferimento ad un «vallone boscoso della provincia di Catanzaro» in cui il
fuggitivo dimorava «ospite di pastori».
Secondo l’autore, il «vallone boscoso» indicherebbe, per i
parenti del Majorana, la permanenza di Ettore presso il sanatorio
antitubercolare di Chiaravalle Centrale, fondato e diretto ‒ negli anni Trenta
‒ dal dottor Mario Ceravolo e intitolato a san Giovanni Bosco. Quanto ai
«pastori» di cui parla Roncoroni, sarebbero da intendersi in senso spirituale e,
dunque, si alluderebbe ad un gruppo di religiosi, nella fattispecie ai Padri
Cappuccini, che assistevano spiritualmente i malati della casa di cura.
La ricostruzione di Giovanni Forte sembra reggere,
considerando che lo stesso Roncoroni ammette un incontro tra Ettore Majorana e
alcuni emissari della sua famiglia, avvenuto proprio in quelle zone tra il 27 e
il 29 ottobre 1938, cui seguì la decisione irrevocabile di non rientrare e la
morte del giovane sopraggiunta, sempre a detta di Roncoroni, nell’estate del
1939.[12]
Infine, bisogna tener conto del fatto che Chiaravalle dista
pochi chilometri dalla Certosa di Serra San Bruno, dove, secondo Leonardo
Sciascia ‒ autore, nel 1975, del libro intitolato La scomparsa di Ettore
Majorana ‒[13] il giovane scienziato
si sarebbe ritirato per fuggire dal mondo e abbandonare gli studi di fisica
atomica di cui aveva intuito il potenziale distruttivo.[14]
Insomma, Giovanni Forte fornisce con il suo libro una chiave
di interpretazione originale e interessante dei fatti, senza la presunzione di
voler arrivare a soluzioni conclusive.
Nel caso Majorana, molto spesso, il caos ha preso il
sopravvento sulla ragione, confondendo ancora di più le già tumultuose strade
della ricerca. L’unico dato certo dell’intera faccenda è la scomparsa di un
giovane talentuoso che aveva scritto pochissimo ‒ la sua produzione consiste
soltanto in nove articoli scientifici ‒,[15]
ma aveva teorizzato, nel lontano 1937, l’esistenza dei cosiddetti fermioni di
Majorana, particelle stravaganti capaci di essere, al contempo, antiparticelle
la cui presenza è stata verificata sperimentalmente soltanto nell’ottobre 2014.
Il genio siciliano dalla mente razionale e calcolatrice, ma
dall’animo sensibile e portato verso la filosofia e la riflessione, scomparve alla
maniera dei personaggi di Pirandello in una intricata vicenda che può essere
sintetizzabile con le parole della Favola del figlio cambiato di pirandelliana
memoria: «Niente è vero / e vero può essere tutto. / Basta crederlo per un momento
/ […]». In questo groviglio di ombre e di illusioni Giovanni Forte ha provato a
gettare un po’ di luce.
Spezzano
Albanese (Spixana), 15/VI/2022
[1] La mattina del 25 marzo 1938,
Majorana si accomiatò in maniera strana da studenti e colleghi. Prima di andare
via, consegnò alla studentessa Gilda Senatore un plico di fogli e appunti, con
la preghiera di custodirli.
[2] Majorana si laureò in Fisica
(1929) con Enrico Fermi, scrivendo una tesi sulla “Teoria quantistica dei
nuclei radioattivi”. Nel 1937, fu nominato, per chiara fama, professore di
Fisica teorica presso l’Università di Napoli.
[3] L’équipe di scienziati di
via Panisperna era composta da fisici teorici (Enrico Fermi, Ettore Majorana,
Gian Carlo Wick, Giulio Racah, Giovanni Gentile jr., Ugo Fano, Bruno Ferretti e
Piero Caldirola), fisici sperimentali (Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Bruno
Pontecorvo, Eugenio Fubini, Mario Ageno e Giuseppe Cocconi) e un unico chimico
(Oscar D’Agostino).
[4] Ettore Majorana era nato a Catania
il 5 agosto 1906 da una famiglia di costumi severi ma, al contempo, influente e
benestante, che aveva ricoperto importanti posizioni politiche e culturali in
ambito nazionale: il nonno di Ettore fu, per ben due volte, Ministro
dell’Agricoltura, dell’Industria e del Commercio; il padre Fabio era un noto
ingegnere; lo zio Giuseppe fu giurista, rettore e deputato; lo zio Angelo uno
statista; lo zio Quirino un brillante fisico, mentre lo zio Dante fu giurista e
rettore. (cfr. Francesco La Teana, La scomparsa di
Ettore Majorana, un caso che appassiona da 80 anni, in www.nationalgeographic.it/popoli-culture/ritratti/2018/03/27/news/80_anni_scomparsa_ettore_majorana-3918362/ [Consultazione del 2/12/2019]).
[5] Si veda in proposito Umberto
Bartocci, La scomparsa di Ettore Majorana: un affare di Stato?, Società
Editrice Andromeda, Roma, 1999.
[6] Cfr. Erasmo Recami, Il vero
Ettore Majorana, Di Renzo Editore, Roma, 2017.
[7] Cfr. Andrea Sceresini, Giuseppe
Borrello, Lorenzo Giroffi, La seconda vita di Majorana, Chiarelettere,
Milano, 2016.
[8] Il senzatetto in questione sarebbe
poi deceduto nel 1997.
[9] Il fisico Antonio Carrelli
ricevette due lettere e un telegramma da Ettore Majorana. La prima missiva,
spedita da Napoli, conteneva propositi vagamente suicidi, il telegramma (inviato
da Palermo) smentiva queste intenzioni, mentre il secondo messaggio (anch’esso proveniente
dal capoluogo siciliano) sintetizzava la volontà del giovane scienziato di
ritirarsi dall’insegnamento. Tuttavia, la figura di Carrelli è alquanto
ambigua: egli non restituì alla famiglia il telegramma, mentre consegnò le
lettere prive delle relative buste. Tale comportamento ci consente di
ipotizzare un suo ruolo di complicità nella volontaria scomparsa del collega.
(Cfr. Giovanni Forte, Ettore Majorana, malato non immaginario. Indagini di
un medico, La Rondine, Catanzaro, 2017).
[10] Cfr. Giovanni Forte, Ettore
Majorana, malato non immaginario, op. cit., p. 78.
[11] Il libro cui si fa riferimento è
il seguente: Stefano Roncoroni, Ettore Majorana, lo scomparso e la decisione
irrevocabile, EIR, Trento, 2013.
[12] Stefano Roncoroni, in una recente
intervista apparsa su «Nuova Storia Contemporanea» (a. XIX, n. 6 novembre-dicembre
2015, pp. 81-106), ha supposto una presunta omosessualità del fisico e ha
altresì ipotizzato che Ettore Majorana fosse affetto dalla sindrome di
Asperger, una variante dell’autismo.
[13] Il libro di Sciascia raccoglieva,
in realtà, sette articoli che lo scrittore siciliano aveva pubblicato
precedentemente sul quotidiano La Stampa.
[14] Recentemente, tale ipotesi è stata
ribadita da: Alfredo Ravelli, Il dito di Dio. Parte prima. Il fatto
(1958-1989), Print Service Pavia, Pavia, 2013.
[15] Cfr. Francesco La Teana, La
scomparsa di Ettore Majorana, un caso che appassiona da 80 anni, in
www.nationalgeographic.it/popoli-culture/ritratti/2018/03/27/news/80_anni_scomparsa_ettore_majorana-3918362/
[Consultazione del 2/12/2019].
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