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domenica 8 maggio 2022

PRESENTAZIONE

 di

Ettore Marino

Se il foglio che ti ospita non coltiva la prassi di alterarti o forzarti a alterare il tuo dettato per la fifa malsana che possa allontanare chi dello scritto tuo non si sarebbe curato comunque; se il foglio che ti ospita non reputa il lettore sciocco al punto da doverglisi ammannire soltanto quello che sa già, scrivere acquista un senso. O meglio, lo mantiene. Rispetto pieno di me autore, della pagina mia, e del lettore insieme ad essi, incontrai, nei mesi trascorsi, presso Le nuove ere e presso L’eco dello Jonio. Medesimo rispetto mi promette quest’oggi Mario Gaudio, sapiente e cortesissimo fondatore di Terre letterarie. Vi scriverò di varie cose: pensate tutte quanto più intensamente e quanto più lealmente mi sarà riuscito, tutte scritte secondo il mio estro, e perciò come meglio avrò potuto. A prevenire, e pure un poco a soddisfare, chi di me si chiedesse, di me dirò nel pezzo odierno: per quel poco che occorre e che sarà bastevole. Delle mie ore e dei miei giorni, infatti, nulla ha da importare ad alcuno. Chi legge sappia perciò che, arbëresh di Vaccarizzo Albanese, nacqui a Cosenza nel 1966; che ho collaborato e collaboro con varie gazzette cartacee e digitali; che nel 2018, per Donzelli editore, è uscita la mia Storia del popolo albanese. Dalle origini ai giorni nostri; che nel 2021 è diventata libro, per le edizioni ilfilorosso, una mia raccolta di liriche intitolata Patibolo; che appena pochi giorni addietro Rubbettino mi ha edito Un quadrifoglio, verde tra le spine. Traduzioni da poeti italoalbanesi; che da un po’ di anni in qua mi diletto a partecipare come autore di testi al Festival della canzone arbëreshe che si tiene ogni Agosto in San Demetrio Corone; che ho scritto molte altre cose che forse rimarranno sempre inedite; che l’immagine apposta all’articolo odierno è quella che ho scelto per la mia lapide; che, come a ognuno di noi, la pandemia m’ha rotto il cazzo. 

E in vari snodi della stessa, secondando ora bizzosi ora bizzarri ora affettuosi umori, intrattenevo amiche e amici inviando loro per WhatsApp quando un’Ottava, quando un’Odicina. Ripropongo al lettore di Terre letterarie le meno impresentabili.

1 A chi mi chiede in dono rime nuove; / a chi né rime o altro mai mi chiese; / a chi d’affetto mi diè mille prove; / a chi con me fu appena un po’ cortese, / dico che sordo o stronzo è il sommo Giove / che i preghi nostri alla rovescia intese. / Che valse mai gioir se ci fu festa? / I giorni se ne vanno, il morbo resta!

2 Il mondo era arancione e adesso è giallo. / Fu azzurro, lo ricordo, e verde, e viola; / tornerà presto rosso e, senza fallo, / seguiterà l’isterica caròla / di mutar tinta a ogni cantar di gallo / per chi piange o ridendo si consola. / Viviamo in un perenne arcobaleno: / ma quando il cielo tornerà sereno?

3 Benché ci assalgano / da mille lati / virus terribili / sempre più irati; // benché impossibile / torni capire / se vaccinandoci / si va a morire; // benché il pandemico / morbo funesto / non mostri animo / d’andar via presto; // benché le scatole / (mi perdonate?) / per spasmi ed ansimi / sian frantumate; // a tutti io auguro / oltre ogni pena / una domenica / lieta e serena!

4 Saette e fulmini, / tuoni e procelle! / I nervi fremono / a fior di pelle; / giungono a torcersi / pure le ossa: / l’Italia è rossa! // Non è politica, / non è il conato / d’un ecumenico / più giusto stato. / È cosa semplice, / banale e dura: / è una rottura! // Sempre tra maschere, / sempre coi guanti, / sempre un isterico / fuggir gli astanti / correndo a chiuderci / per prevenzione: / è una prigione! // Ma un dono timido, / tremulo e fioco, / giunge via etere / a voi per gioco. / Non domandatevi / che cosa sia: / è una poesia…

5 Mi vaccinai. Tal fu il dovere mio. / Ma ancora, amici, non mi sono accorto / (e in ansia atroce lo domando a Dio) / se il mio naviglio tocca o lascia il porto, / se sono un altro o sono sempre io, / se sono ancora vivo o son già morto. / Proprio per questo è detto in un poema: / “Ettore o non Ettore è il problema!”

6 Ho dormito come un ghiro, / sono uscito a fare un giro: / una lunga passeggiata / lieta maschia indiavolata. / Nutro tutti i desideri / che nutrivo ancora ieri. / Torno a casa. Dallo specchio / mi sorride un brutto vecchio. / Guardo attento: sono io stesso, / folle prima e matto adesso, / e a voi tutti scrivo che / vaccinato sto da re!

7 Ho fatto la mia dose di richiamo, / e sento il gatto conversare in greco / con un pesce che, sceso giù dal ramo, / rulla una sigaretta e la offre a un geco. / Urlo a me stesso dallo specchio: “Io t’amo!”, / ma mi trilla all’orecchio un grillo bieco / che dice: “Assai giocasti a fare il pazzo; / ora lo sei, mio povero ragazzo!”

8 Corron voci striscianti appiccicose / nauseabonde arcisteriche villane / metalliche arroganti minacciose / più d’un ringhio famelico di cane. / Dicono: “Ci sarà una terza dose…” / Quadrare il cerchio o inverginar puttane? / chiedere al cieco qual è mai la via? / morir di morbo ovver di terapia?

9 E venne l’ora della terza dose. / I medici, saputi, l’hanno detto. / Sogno ruscelli, sogno caste rose, / brezze sul volto, amori immani in petto. / Sogno, sogno, e mi destano le odiose / punture al braccio, come un reo dispetto. / E anelando con l’anima all’Eterno, / di dose in dose rotolo all’inferno.

10 Un raffreddore timido e vigliacco; / una tossetta stizzosuccia e fioca; / un sentor d’ossa rotte e corpo fiacco; / una voce stagnante e vana e roca… / Penso: “Ho la peste anch’io, perdincibacco!” / Lo penso, e la mia pelle si fa d’oca. / E a fugare la nera fantasia / a perdifiato corro in Farmacia. // Entro. Racconto tutto. Su pel naso / mi conficcano un tùbulo sapiente. / Temo di sangue un infernal travaso; / temo di venir meno immantinente; / temo che il sole mio tocchi l’occaso; / temo di evaporare nel mio Niente. / Ma con volto materno, pio, giulivo, / la farmacista esclama: “Negativo!” // Negativo! - e ritorna ogni vigore; / negativo! - e vaniscono i pensieri / d’un sangue che per sempre lasci il cuore; / negativo! - e seimila desideri / mi corrono le membra in lieto ardore. / Vivo e felice oggi come ieri, / e domani ancor più. Ciò voglio e spero: / per me, per te, per l’Universo intero!

E con la speranza di una universale felicità, nonché con quella assai più piccina ma non meno intensa di averti segnato sul volto un sia pur pallido sorriso, ti saluto, o lettore, e ti rimando alla prossima.

Vaccarizzo Albanese (Vakaric), 8/V/2022

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