di
Mario Gaudio
Una delle illusioni più infide, generate ed alimentate dalla
società capitalistica, consiste nell’edulcorare il tema del dolore, seppellendo
sotto strati di merci e consumismo difficoltà esistenziali che, da sempre,
hanno accompagnato la traviata storia dell’umanità.
Manipoli di grafici e pubblicitari si affannano ad
imbellettare la realtà, costruendo mondi d’apparenza che scorrono suadenti e
colorati tra le pagine del web e i canali televisivi: immaginarie classi di
alunni ‒ inopportunamente ordinate ed immuni dalle vivacità e dagli schiamazzi
della giovinezza ‒ posano a favor di camera, mostrando la bontà dell’ultimogenita
merendina industriale; famigliole sorridenti si ritrovano sotto i riflettori
per magnificare improbabili colazioni mattutine rigorosamente esenti dalle
inquietudini passate e venture della giornata lavorativa e obbligatoriamente
aperte ad uno scodinzolante animaletto domestico che, alla stregua della prole,
si avventa allegro su prodotti scrupolosamente etichettati come biologici e italiani;
atletici settantenni si prodigano in urbane maratone grazie all’azione di
unguenti medicamentosi a cui adeguate simulazioni computerizzate attribuiscono
il potere di penetrare fin quasi dentro le midolla.
Insomma, il dominio della sembianza imperversa nel postmodernismo, instillando fumose certezze all’abitante di collettività sempre più liquide in cui, more solito, si tenta di esorcizzare i problemi, il male e persino la morte per mezzo di un massificante ricorso alla superficialità e all’immagine di un finto e relativo benessere.
Tale logica, imperante e preoccupante allo stesso tempo,
viene frantumata dai versi di Agatina Maiurano che, benché semplici e affatto
avvezzi alle tradizioni della metrica, riportano al centro della riflessione la
vita ‒ nelle sue molteplici sfaccettature ‒ e i sentimenti più genuini.
L’estenuante prova della malattia e la perdita prematura di
un figlio hanno reso granitica la tempra dell’autrice che, ricorrendo alla
poesia, porta avanti un’azione di progressivo disinganno consistente nella
rivalutazione oggettiva della dimensione della sofferenza.
Attraverso il silenzio, brillantemente definito «rumore
dell’anima» (Il silenzio), e i ricordi ‒ «Che potere hanno i ricordi! / Possono
regalarti un sorriso o un eterno rimpianto, / comunque ti fanno sentire vivo» (Il
ricordo di un sorriso) ‒ la Maiurano compie un personale percorso di catarsi
che, partendo dalla commovente ricerca di un’immagine cara che va
progressivamente sbiadendosi ‒ «Cerco tra la gente il tuo volto ormai lontano»
(Ti cerco) ‒, approda ad un’esortazione che assurge quasi ad armonica regola
del buon vivere («Trasforma i tuoi veleni in miele / e camminerai nell’aria», Uomo).
Il risultato di questo itinerario psicologico-letterario è un profondo senso di
gratitudine che assume dimensioni cosmiche ed è corroborato costantemente da
una fede che fornisce lume e consiglio anche nelle vicissitudini più intricate
ed amare.
Nei tristi giorni in cui la morte pasteggia famelica sui
disumani campi di battaglia ucraini, il volumetto di Agatina Maiurano ci offre
un messaggio di speranza. Basta ciò per renderne necessaria e costruttiva la
lettura.
Spezzano
Albanese (Spixana), 02/V/2022
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