di
Mario Gaudio
“Castigat, ridendo, mores” recita un antichissimo adagio
latino che, a ben vedere, condensa egregiamente il significato de La rivolta
delle pulci.
La fluidità delle categorie letterarie ci consente di
etichettare questo scritto come un romanzo breve o, in alternativa, sotto la
dicitura di racconto lungo ma, a prescindere dalla scelta formale – questione
sicuramente interessante per gli addetti ai lavori, ma tediosa per il lettore
comune –, il testo di Damiano Guagliardi manifesta un’armonica mistione di
freschezza, cronaca, finzione e ironia.
La vicenda verte attorno all’inaugurazione della nuova sede
del Consiglio Regionale della Calabria, nel territorio di Maida di Catanzaro, e
si caratterizza per la presenza di personaggi variegati e complessi. Essi,
fissati sulla pagina, ma vivi e palpitanti nell’azione, abbracciano curiosamente
– con tratti quasi pirandelliani − una vasta fetta dei vizi e delle virtù umane,
di cui è opportuno fare cenno: l’anziano e accorto consigliere Carmine
Loricchio – protagonista del racconto/romanzo – incarna il prototipo del
politico d’esperienza, in grado di muoversi con saggezza tra le mille insidie
della vita amministrativa e di nutrire cautele e dubbi lì dove gli altri
intravedono solo certezze (palese è la sua fondata preoccupazione circa la
protesta dei lavoratori precari che si concretizzerà in quella pomposa
circostanza); vanesio, femmineo, verboso e mellifluo è, invece, il
capogabinetto Ignazio Sculli, figura comica e drammatica ad un tempo, essere
intermedio tra il pavido don Abbondio di manzoniana memoria, il depravato efebo
Gitone del Satyricon petroniano e il freddo e distaccato burocrate; il
Presidente del Consiglio regionale Armando Pesce si configura come politico
appariscente, a tratti anche dinamico, ma alle prese con la sua traballante
dentiera e i curiosi muggiti legati all’eccitazione e al nervosismo; alticcio,
comico e anticonvenzionale è Beppe Praticò, amico di Loricchio; figura diafana,
ma gerarchicamente imponente è quella di Ermenegildo Pancrazio, Presidente
della regione.
A questi, l’autore accosta una serie di avvenenti presenze femminili
(la giornalista Lidia Malagrinò e le consigliere Paola Minisci e Demetrina
Barillà) e il particolare personaggio di Mimmo Licordari che, sebbene assente
fisicamente, aleggia di continuo − tanto nel racconto quanto nelle
preoccupazioni dei politici regionali − in qualità di bizzarro leader del
movimento di protesta dei precari.
Al netto delle dinamiche narrative, il testo di Guagliardi
mostra addirittura tratti curiosamente “profetici”: il romanzo è stato
pubblicato nel 2010 e già si accenna alla caduta di Silvio Berlusconi (che si
concretizzerà nel novembre 2011), così come si imbastisce l’intera trama
sull’inaugurazione – descritta in maniera particolareggiata – della nuova
Cittadella regionale calabrese che, a rigor di cronaca, avverrà soltanto nel
2016. Lungi dall’attribuire queste anticipazioni storiche al caso o a qualsivoglia
ispirazione divina, possiamo agevolmente giustificarle evidenziando la grande
capacità di analisi e previsione maturata dall’autore durante la sua pluriennale
esperienza politico-amministrativa.
Tuttavia, La rivolta delle pulci non è uno scritto asettico
o un prodotto letterario condizionato negativamente dai protocolli e dalle
austere liturgie di palazzo; al contrario, emergono sprazzi interessanti legati
alla natura, all’erotismo e alla comicità, tre aspetti che meritano qualche approfondimento.
La rivolta delle pulci di Damiano Guagliardi |
Il paesaggio calabrese, gradevole e inconfondibile, appare
tra «le acque scintillanti del fiume dei briganti» (il Savuto) riscaldate dal
sole mattutino e nei centenari tronchi degli ulivi che contornano il parco della
Cittadella regionale. Si tratta di una natura forte, antica, testarda e viva
come l’anima delle popolazioni calabresi, colorata e ridente, quasi una sorta
di contraltare al grigiore delle stanze del potere.
La componente erotica si materializza in donne seducenti e
in dialoghi – reali o confinati alla dimensione dello sguardo – ammiccanti e
carichi di passione, cui non si sottrae neppure l’ormai saggio settantenne
Loricchio, perennemente accompagnato da borsalino e bastone.
Non bisogna tralasciare la vis comica di alcune pagine che
giocano sugli effetti di fraintendimenti boccacceschi – si veda in proposito
l’esilarante equivoco tra il cardinale Martirano e la bella Demetrina – o sugli
sproloqui legati alla sbornia (spassose sono le declamazioni pseudopoetiche di
Beppe Praticò).
La narrazione di Guagliardi ci offre, se sottoposta ad una
lettura attenta, altri elementi degni di nota.
In primis, affiora una impalcatura circolare delle vicende:
tutto inizia sulla strada, in viaggio, e si conclude esattamente allo stesso
modo; in secundis, è da notare la struttura multilivello degli eventi, con una
inaspettata quanto interessante confusione tra il piano della realtà e quello
onirico, cosa che ricorda, molto da vicino, la narrazione del grande Jorge Luis
Borges e del già citato Luigi Pirandello; in terzo luogo, campeggia l’istanza
sociale che trova piena attuazione nella singolare forma di protesta
conclusasi con la fastidiosa invasione delle pulci.
Sull’intero racconto si libra costantemente un’atmosfera di
attesa: si aspetta un’azione dimostrativa da parte dei precari, si freme per
l’arrivo delle alte cariche politiche per la cerimonia di inaugurazione, ci si
prepara lentamente a quello che sarà il finale paradossale che investirà
inaspettatamente il lettore.
Non è da tralasciare anche una finezza strutturale che
connota l’opera di Guagliardi. Essa rispetta alla perfezione le tre antiche
unità aristoteliche (di luogo, tempo e azione) che, sebbene elaborate per la
tragedia, rendono ordinata e fluente anche la trama del romanzo in questione.
Infine, al di là di ogni finzione, fuoriesce con potenza
quella che è la vera necessità dello scritto, ovvero l’esigenza storica di
uniformare la sede del Consiglio e della Giunta regionale allo scopo di rendere
più produttivo ed efficiente l’andamento istituzionale della nostra amata
Calabria.
Damiano Guagliardi compare nel romanzo in duplice veste:
quella del politico – attraverso alcuni tratti infusi al suo protagonista
Carmine Loricchio – e quella dello scrittore, la cui indole, appassionata di
letteratura, si cela in maniera quasi evanescente nello sfuggente nome del
romanziere Jan Gramishi, il quale si materializza in una modalità apparentemente
marginale − come i volti dei grandi pittori cinquecenteschi celati tra la folla
dei personaggi di una loro tela − ma fondamentalmente essenziale.
Insomma, irriverente, istituzionale ma anche anticonformista
(Loricchio e Praticò sono gli unici personaggi a non indossare il gessato
all’interno del romanzo), visionario e realista ad un tempo, in una parola:
ossimorico. Questo è il giudizio che vien fuori dalle pagine de La rivolta
delle pulci, uno scritto interessante e, senza alcun dubbio, degno di essere
letto.
Spixana (Spezzano Albanese), 5/VI/2019
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