di
Mario Gaudio
Long Island, 1922. Il giovane e rampante Jay Gatsby allieta
centinaia di persone con sontuose feste capaci di attirare nel suo giardino una
variegata umanità amante della vita e dei più stravaganti divertimenti. Lo
stesso padrone di casa − elegante, ricco e misterioso − sembra godere di queste
atmosfere che si consumano tra luminarie, note di jazz e il fruscio degli appariscenti
abiti femminili. C’è, tuttavia, una ruga che offusca impercettibilmente la fronte
serena del giovane milionario e ne condiziona l’esistenza. Si tratta di un
antico e mai sopito amore conclusosi, cinque anni prima, a causa della sua non
florida situazione economica.
Una volta ascesa con rapidità la scala sociale e conquistato
un ragguardevole tenore di vita, il protagonista prova a far rivivere la
passione per Daisy che, nel frattempo, si è congiunta in matrimonio con
l’arrogante Tom Buchanan. Il tutto è favorito da Nick Carraway, unico amico di
Gatsby e cugino della sua innamorata.
Nonostante ciò, il destino è in agguato e un incidente
stradale, causato dalla donna, provoca la morte di Myrtle (amante di Tom) e
innesca la vendetta del marito della defunta che culminerà con l’omicidio di
Gatsby.
Insomma, Fitzgerald ci propone la più classica delle vicende
umane, con l’utilizzo del sicuro binomio amore/morte, ma lo fa attribuendo al
protagonista le caratteristiche di un’intera epoca storica.
Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald |
Gatsby è, senza dubbio, il simbolo perfetto dei “ruggenti
anni Venti”, figlio di giorni spensierati, resi tali dai soldi facili, dal
progresso e dalla spericolata speculazione finanziaria.
L’autore americano mette in scena uno stile di vita
destinato, ben presto, ad essere spazzato via da un brusco ritorno alla realtà:
ricordiamo, per inciso, che Il grande Gatsby fu pubblicato nel 1925,
esattamente quattro anni prima del tracollo economico noto come “crisi del
‘29” che pose fine alla superficialità della cosiddetta “età del jazz”.
A rendere ancora più dolorosi gli avvenimenti contribuisce
la solitudine di Gatsby che, amato anfitrione da vivo, diviene scomoda amicizia
da morto, al punto che i suoi funerali sono disertati dalla massa chiassosa e
godereccia degli antichi ospiti.
Nonostante ciò, il giovane protagonista del romanzo emana un
indiscutibile fascino da attribuire, senza esitazione, alla caparbietà con cui
persegue il suo sogno. Sebbene spiantato e privo di mestiere, continua a
coltivare la segreta passione amorosa al punto che, messosi in affari con il
losco ebreo Meyer Wolfsheim, costruisce una personale fortuna basata sul
contrabbando di alcol in piena età proibizionista.
Insomma, al di là degli innegabili meriti narrativi di
Fitzgerald e del successo delle molteplici trasposizioni cinematografiche, Il
grande Gatsby ammalia le nostre coscienze di lettori che, dinanzi alla
determinazione di un tale personaggio e alla forza del sentimento, mostriamo
sicura clemenza verso i suoi non proprio leciti guadagni.
In fondo, ognuno di noi è un piccolo Gatsby, sicuramente con
meno dollari in tasca, ma con la consapevolezza che, durante le nostre
giornate, «remiamo […] risospinti senza sosta nel passato» pur inseguendo
chimere e sogni di futuro.
Nessun commento:
Posta un commento