di
Ettore Marino
Al tavolino d’un Caffè, un pomeriggio che rantolando moriva
nella stessa sua afa, una giovane amica mi chiese, quasi dal nulla, quale fosse
per me lo scrittore più sadico. Risposi: Thomas Mann. Le righe che seguono
motiveranno la risposta.
Legami antichi e portentosi affratellano Letteratura e Male. Fuori luogo riandarne gli snodi. All’aspra fratellanza, Georges Bataille dedicò un libro (La Littérature et le Mal, appunto) del quale qui nulla direi nemmeno se lo avessi letto; né dirò del marchese donde il sadismo prese il nome, pur avendolo letto anche troppo. Ricorderò Virgilio, non certo perché sadico, ma perché chiuse il Male in un distico vibrante di dolorosa grazia: Qui legitis flores et humi nascentia fraga, / frigidus, o pueri, fugite hinc: latet anguis in herba. Lo rattrappisco come segue: “Ragazzi che cogliete fiori e fragole, / fuggite: l’erba cela un freddo serpe.” Confidando nel perdono di chi ha letto, passo a Manzoni. Padre Cristoforo si è speso nel vano tentativo di toccare il cuore a don Rodrigo. Renzo, Lucia e Agnese lo attendono in ambascia. Il frate giunge con l’amara scontata notizia, e a Renzo che lo pressa a ripetere la risposta di don Rodrigo dice che “l’iniquo che è forte [...] può adirarsi che tu mostri sospetto di lui, e, nello stesso tempo, farti sentire che quello di che tu sospetti è certo: può insultare e chiamarsi offeso, schernire e chieder ragione, atterrire e lagnarsi, essere sfacciato e irreprensibile.” La realtà umana è fatta di ciurmatori e di ciurmati, derisori e derisi, bastonatori e bastonati, né le parti son fisse così come sembra. La linea del tempo è fatta di istanti, ma la linea ha più forza d’ogni singolo istante; il tutto è fatto di parti, ma il tutto è più potente d’ogni singola parte. Il moto delle cose travolge, ma solo in ultimo, ognuno. Di momento in momento, se c’è guerra, c’è un vincitore e un vinto. A chi offre al mondo una storia non tocca parteggiare né per il momentaneo vincitore né per il momentaneo vinto; né per i tutti destinati ognuno alla sconfitta ultima, né per il tutto che costantemente trionfa su ogni singolo. Può parteggiare per chi vince, può parteggiare per chi perde. Se con atroce compostezza parteggia per l’intero moto delle cose e squaderna il dolore dell’afflitto con una voluttà che non si mostra mai ma che si avverte in ogni sillaba, è allora il più sadico dei sadici. Artista sommo, se lo è; però, ripeto, sadicissimo.
Artista sommo fu, e senz’aura di dubbio, Thomas Mann. Ne
ripercorro due racconti. Ne Il piccolo signor Friedemann egli narra il destino
di Johannes Friedemann che, neonato, per colpa di una balia ubriaca, rovina in
terra, e rimarrà piccolo e gobbo. A sedici anni s’innamora. Lei ama un altro, e
Friedemann si dà pace. Vive con tre sorelle nubili, lavora, legge ottimi libri,
fuma eccellenti sigari, ama la musica, adora il teatro, suona bene il violino,
e il giorno del suo trentesimo compleanno ringrazia il triste ma grato
crepuscolo in cui è consistita tutta la sua esistenza. Ma una novità irrompe.
Ricco, atletico, forte, sicuro di sé, nella pacata cittadina arriva il nuovo
comandante del presidio militare. Acquista una villa bellissima. Bella è pure
sua moglie. Si chiama Gerda, e ha modi spicci, va a cavallo, fuma. Friedemann
ne è turbato. S’incontrano una volta a teatro e una volta a casa di lei. Gerda
gli confessa di patire di nervi: un’infelicità che potrebbe avvicinarli. Suona
il piano, e potrebbero fare musica insieme. Con la potenza del tuono e il
veleno d’un frutto ignoto, l’amore si impossessa dell’infelice Friedemann.
Glielo confesserà, dopo un ricevimento nella villa, mentre, su richiesta di
lei, si sono appartati in fondo al giardino, su una panca a due passi dal
fiume. Le piange in grembo. Gerda, di colpo, esplode in una breve risata di
orgoglioso sprezzo, lo afferra per un braccio, lo getta a terra, torna tra gli
invitati. Friedemann si lascia morire nel fiume.
Luisella narra di una strana coppia: Amra e l’avvocato
Jacoby. Lei è bellina bruna sciocca lussuriosetta furba; lui è un omone
quarantenne, adiposo, di chioma rada e di ancor più rada barba, ispide e
biondastre. Vile al punto da chiedere perdono ad ogni torto che subisce, ama la
moglie, che lo chiama bestione, lo umilia ad ogni passo, lo tradisce (lo sanno
tutti ma Jacoby lo ignora) con il giovane Läutner, uomo felice amabile
spregiudicato presuntuoso, nonché compositore di canzoncine graziose e
banalissime, che ogni volta, però, per poche brevi ma significative battute,
palesano estro e genio. Amra ha la bella idea di dare una grande festa in onore
della birra novella. Tanti saranno gli invitati, e vi saranno canti e danze, e
imitatori di grandi personaggi. Furoreggia in quei giorni una canzone assai
pacchiana, Luisella, il cui ritornello recita: “Polca, valzer e stiriana /
niuna danza al par di me. / Son Luisella popolana, / più d’un cor giurommi fè”
(racconto e versi tradotti da Emilio Castellani in Thomas Mann, Racconti,
Mondadori 1984, pp. 151-166). A offrire il clou della serata, l’avvocato Jacoby
dovrà cantare Luisella, rimusicata da Läutner; e la dovrà cantare vestito d’una
vermiglia veste femminile, con il volto incipriato, e con in capo una parrucca
tutta boccoli. L’avvocato rifiuta. Cederà al primo rimprovero di Amra che, mentre
fanno l’amore, suggerisce a Läutner di scrivere una musica da suonarsi a
quattro mani. Il grande giorno arriva. La festa è al colmo. Amra e l’amante
siedono al pianoforte, iniziano a suonare, il sipario si schiude, e il pingue
avvocato quarantenne compare in veste di Luisella, e canta e danza fino a che,
nel solo passaggio geniale della melodia, da cantarsi sulle sillabe di
“Luisella”, il dolore, l’orrore, lo sconcerto fulminano il poveraccio
uccidendolo.
Mann grande, grandissimo scrittore. Antifrancese e
reazionario durante la grande guerra, poi nemico di Hitler e democratico
(obliquamente) convinto… L’Arte è oltre, e Thomas Mann è nell’Arte. La
compostezza con la quale trama gli orrori che narra (è un suo diritto) lo
rendono inscalfibile. Mai mostra ribellione al Fato. È alleato del Male, e non
puoi muovergli rimprovero. Di ogni autore in quanto uomo, nulla deve
importarmi. Nulla perciò m’importa del signor Mann. È morto nel 1955 e, pure se
avessi una sorella, e questa fosse nubile, mai correrei il rischio di
ritrovarmelo cognato. Il suo diario è stato pubblicato da un pezzo. Mai volli
leggerne una pagina. Sono certo che abbia compiuto personali nefandezze e che
le abbia trascritte con la sua eterna sfacciata irreprensibilità, con eleganza
d’acciaio e di smalto. Ch’io abbia indovinato o no, nulla rileva.
Vaccarizzo Albanese (Vakaric), 05/VI/2022
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